“Siamo qui per ricordare il futuro, riverberando intere galassie dentro di noi mentre respiriamo.” Monica Gagliano
All’inizio era fuggire dal frastuono delle nostre giornate cariche di impegni. Arrivavamo sul posto alla ricerca di uno sguardo sul mondo più ampio, affamati di qualche vetta che offrisse un senso alla fatica. La spinta verso l’alto, la sfida, lo sguardo sempre pronto a riempirsi di immagini condividendo con prontezza e sottile impazienza quanto visto. C’era sempre qualcosa che non bastava, un retrogusto amaro che portava a immaginare un futuro diverso che si accompagnava ad un senso di impossibilità, vincolato a sua volta ad un crudo realismo.
Eppure qualcosa si muoveva, come un mettere a fuoco iniziando ad ascoltare rallentando, ed oggi possiamo dire che quella spinta iniziale, energica e disordinata nel suo desiderare, era un passaggio per noi necessario, una premessa ricca di possibilità. In questo, nel tempo, ci ha aiutato anche una antica fedeltà alla consapevolezza, coltivata con cura, che gradualmente ci ha resi disponibili ad incontrare noi stessi e il mondo in modo nuovo.
Una sensibilità che ha portato con sé il disimparare, il non sapere, l’apprendere e conoscere attraverso i sensi. Piano piano il camminare è diventato abitare l’esperienza appartenendo pienamente ad essa, sostenuti dal silenzio, connessi profondamente con il vento, i suoni, gli alberi, i colori, il cielo, il respiro. Camminare insieme agli altri è poi diventato assaporare un’intimità profonda, senza altra meta che non sia quella dell’essere ospiti della natura.
Siamo consapevoli che il nostro pianeta è ferito, la nostra specie a rischio, e che questo modello economico non è sostenibile. Sappiamo anche che la paura, la rabbia, l’ansia, fanno sempre più parte del nostro panorama esistenziale, intossicando istituzioni e politica. Non abbiamo ricette e soluzioni davanti alla complessità del presente. Siamo però convinti che possiamo abbracciare la bellezza che diventa sostegno e nutrimento indispensabile per poter pensare ed agire diversamente.
Forse è importante allora rimetterci in cammino, riscoprire un’appartenenza al tutto nella semplicità radicale di un passo, di un respiro, di uno sguardo innocente, che incontra una faggeta, un tappeto di foglie autunnali, il risveglio primaverile testimoniato da un ruscello che scorre impetuoso; in punta di piedi, abbandonando concetti, definizioni, ricordi, progetti, e tutte le narrazioni che li accompagnano.
Per un attimo siamo puro spazio, concavo, che ospita e viene ospitato, immersi nel nudo piacere del contatto con l’esperienza. Poggiando delicatamente a terra con gentilezza ogni aspettativa, ci apriamo alla possibilità di apprendere nuovamente l’ascolto del mondo vegetale, fondamentale risorsa nella nostra storia evolutiva, e sentire nel profondo la compresenza di altre intelligenze in ogni specie animale che incontriamo nel nostro cammino.
Lasciamo così cadere la finzione di essere separati dal mondo, cui apparteniamo da sempre, e incarniamo la sensibilità generata dal sentire l’importanza di ogni nostro pensiero, parola e azione che si riverbera in esso e ritorna a noi nel condividere il comune respiro. Cammino dopo cammino, nel silenzio e nell’essere come siamo, proprio di ogni momento di consapevolezza.
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