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Camminata in consapevolezza al Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini

 Domenica 17 settembre 2023, cammineremo in silenzio lungo il percorso ad anello a Campo dell’Osso sui Monti Simbruini.

Ci accompagneranno la natura con la sua bellezza, il vento, il sole, i suoni, il respiro e i nostri passi. Brevi pause meditative guidate,  offriranno la possibilità di aprirci alla consapevolezza sensoriale e di “essere” più intimi con l’esperienza.

In alcuni momenti del percorso Luciano, esperto camminatore, geologo e conoscitore delle montagne, offrirà alcune descrizioni degli aspetti più interessanti del territorio.

La pausa pranzo sarà un momento conviviale in cui condividere l’esperienza e assaporare il cibo. Riprenderemo la via del ritorno nuovamente in silenzio riaprendoci ai sensi.

Da Subiaco in provincia di Roma, raggiungiamo in auto su strada comoda l’altopiano di Monte Livata e quindi la località Campo dell’Osso a circa 1600 metri sul livello del mare, situato ai piedi del Monte Autore, la cima più alta della provincia di Roma. Con partenza dal piazzale, ove si parcheggia, ci allontaniamo dalla folla del luogo andando alla lenta scoperta delle faggete ancora verdi ed affascinanti, quasi sempre senza difficoltà; non mancheranno affacci panoramici verso la collina ed il litorale romano. Una piena immersione nella tranquillità della montagna appenninica.

DATI TECNICI

Gruppo montuoso di riferimento: Monti Simbruini (Lazio)

Massima altitudine raggiungibile: 1580 metri

Massimo dislivello: 200 metri (difficoltà: medio/facile)

Km totali da percorrere: 8 km, per un totale di ore 4 (soste escluse)

Accompagnatore: Luciano Capeccioni – Guida Ambientale Escursionistica (socio A.I.G.A.E.), geologo

Organizzazione SETREMISULLORLO: Ida Costa e Marco Iannelli – Mindfulness Teachers

APPUNTAMENTO: Campo dell’Osso, ristorante “Al Capriolo” (Roma), ore 10:00

Accompagnatore: Luciano Capeccioni – Guida Ambientale Escursionistica (socio A.I.G.A.E.), geologo. L’accompagnatore si riserva il diritto di annullare o modificare l’itinerario proposto a sua discrezione, per garantire la sicurezza o in base alle condizioni del meteo e al numero dei partecipanti (max 30).

Cosa portare e abbigliamento
Obbligatorio l’utilizzo di scarpe da trekking (NO Scarpe da ginnastica)
Zaino comodo adatto al trasporto del necessario per la giornata;
Abbigliamento idoneo ad una escursione (possibilmente vestirsi a strati). Necessario un capo impermeabile, occhiali da sole, un cappellino. Consigliati i bastoncini.
Raccomandato almeno 1,5 litro d’acqua, pranzo al sacco e snack energetici (frutta secca, cioccolata, barrette)
Quota di partecipazione: € 20

Per prenotare: inviare mail a info@setremisullorlo.it, indicando nome e cognome e numero partecipanti

Per ulteriori informazioni: tel. 3200220382 – 3299812971

Dall’Eden dell’Olocene ad un disastro annunciato

1937: La popolazione nel mondo è pari a 2.3 miliardi di persone, la quantità di CO2 nell’atmosfera è pari a 280 parti per milione e la percentuale di natura selvaggia è del 66%. 2020: La popolazione nel mondo è pari a 7.8 miliardi di persone, la quantità di CO2 nell’atmosfera è pari a 415 parti per milione e la percentuale di natura selvaggia è del 35%. Tutto questo nell’arco dell’esistenza di un uomo, David Attenborough, che racconta il collasso dell’Olocene attraverso i suoi occhi.

Tutti a scuola avremo sentito parlare di storia, qualcuno di storia delle scienze naturali, quel racconto, che a volte appare fantasioso, che ci parla di dinosauri ed estinzioni di massa. Eppure, siamo riusciti a distruggere, nell’arco di una sola esistenza umana, un patrimonio che ha impiegato 65 milioni di anni a costituirsi.

Ma partiamo dal principio: David Attenborough cammina in un luogo abbandonato, dove tetti e finestre non esistono più, cammina fra le vie di Chernobyl, luogo della catastrofe nucleare del 1986. Era una cittadina di 50mila persone ma è diventata un luogo inabitabile e la causa è solamente una cattiva pianificazione, un errore umano. Impossibile non pensare all’andamento generale del pianeta, che a causa delle nostre scelte sta rendendo sempre più fragile l’equilibrio che la sua biodiversità ci ha regalato.

David Attenborough racconta della sua esistenza, trascorsa a scoprire la bellezza naturale del mondo ed a studiarla con dedizione. Ci ricorda che con l’estinzione dei dinosauri il 75% delle specie viventi sul pianeta svanì assieme a loro. Alla vita non rimaneva altro che ricostruirsi e così fu, in un processo lungo 65 milioni di anni. Così è nato il mondo che conosciamo, l’epoca geologica dell’Olocene, che è stato il periodo di maggiore stabilità, dei ritmi lenti delle stagioni, ma anche dell’invenzione dell’agricoltura, che ci permetteva di sfruttare quest’ultime per assicurarci un sostentamento. Ma questo lento e progressivo sviluppo di una natura che nasce in un perfetto equilibrio che genera vita, è stato sconvolto dall’intelligenza umana che ha reso il cambiamento, improvvisamente, molto più veloce.

A partire dal 1954 David Attenborough iniziò a girare il mondo per mostrare, attraverso programmi televisivi, la natura selvaggia di luoghi inesplorati e popolazioni sconosciute. In quel momento, sembrava che non ci fossero limiti alla possibilità di scoperta e di sviluppo tecnologico. E fu così fino al 1968, quando la missione Apollo svelò che viviamo su un pianeta fragile, finito ed isolato. Da quel momento Attenborough guardò il mondo con nuovi occhi e si accorse che davanti ai suoi occhi si stava palesando un nuovo processo di estinzione di moltissime specie che popolavano la terra, creando fratture nell’Eden di un ecosistema in perfetto equilibrio. La colpa è la nostra, a causa della vita che ci siamo costruiti, interi habitat stavano e stanno scomparendo.

Oggi la situazione è a dir poco drammatica: abbiamo sovrasfruttato il 30% degli stock ittici e ridotto la popolazione d’acqua dolce dell’80%; ogni anno abbattiamo oltre 15 miliardi di alberi e la metà delle terre feritili del pianeta sono diventate terreno agricolo; noi uomini rappresentiamo più di un terzo dei mammiferi sulla terra, il 60% sono animali di allevamento ed il resto degli animali rappresenta solo il 4%, sull’intero pianeta. Un pianeta gestito dall’umanità per l’umanità, o almeno per la parte ricca della popolazione mondiale. Ma Attenborough crede che la speranza non sia morta, ritiene che sia urgente un cambio di rotta: è necessario adoperarsi per ripristinare la biodiversità del nostro pianeta. Come è possibile realizzarlo? La popolazione mondiale potrebbe raggiungere il picco di 11 miliardi entro alcune decine di anni: dovremmo rallentare la crescita demografica prima che questo picco venga raggiunto e renda impossibile la sopravvivenza sulla terra con le risorse a disposizione. Questo obiettivo può essere raggiunto anche cercando di alzare gli standard di vita in tutto il mondo, senza aumentare il nostro impatto sul pianeta. Dovremmo eliminare i combustibili fossili dalle nostre vite e utilizzare le eterne forze della natura, come l’acqua, il sole, il vento.  Inoltre, per far rivivere la biodiversità e la ricchezza dei nostri oceani, sarebbe opportuno imporre un divieto di pesca esteso a un terzo delle nostre coste e L’Onu si sta impegnando per questo: l’obiettivo è quello di creare la più grande zona di divieto di pesca in acque internazionali, trasformando gli oceani nella più grande riserva naturale del mondo.
Per la terra ferma l’impegno è duplice: arrestare la deforestazione e ridurre le aree coltivate, per far spazio alla natura selvaggia. Tutto questo è possibile anche grazie all’innovazione tecnologica: pensiamo al caso dell’Olanda, uno fra i primi esportatori mondiali di prodotti alimentari, che promuove un’agricoltura indoor, hi-tech e sostenibile, massimizzando la produzione in una porzione ridotta di territorio.

David Attenborough ha tanti esempi virtuosi come quello dell’Olanda e li propone nel suo meraviglioso documentario, A life on Our Planet, che in poco più di un’ora stravolge le nostre convinzioni sul pianeta terra. In ultimo, la scena torna su Chernobyl, la città abbandonata, dove la natura ha ripopolato strade, le fronde degli alberi hanno sostituito i tetti ed animali selvaggi passeggiano in palazzi abbandonati. Non importa quanto siano gravi i nostri errori, la natura trova sempre un modo per superarli

https://www.youtube.com/watch?v=05uim34jAL8
DAVID ATTENBOROUGH: A LIFE ON OUR PLANET – OFFICIAL CLIP – FINITE WORLD

Muovere il cambiamento

Ogni scelta va fatta con consapevolezza, perché ogni azione fa davvero la differenza ed è fondamentale condividere per diffondere, in modo capillare, i propri saperi e le piccole azioni che possono essere fatte ogni giorno. Secondo quanto emerge da un’indagine condotta dall’Osservatorio giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo nel 2019, su un campione di 2000 giovani italiani nati tra il 1982 al 1997, l‘81,8%  si dice disposto a cambiare le proprie abitudini per ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici sul pianeta, mentre l‘82% dichiara di essere disponibile a ridurre al minimo gli sprechi (dall’acqua alla luce, dalla plastica al cibo). Il tema è molto caldo e dai dati dell’indagine mostrano come ci sia un’ampia consapevolezza: secondo la grande maggioranza degli intervistati la qualità del futuro del pianeta è strettamente legata alla responsabilità di ciascuno di noi, non solo dall’operato dei governi. Altro aspetto molto interessante è anche l’alto senso di responsabilità percepito su questo tema dai giovani italiani, infatti oltre il 59% è convinto che la salvaguardia dell’ambiente investa direttamente ogni singolo cittadino. Ognuno di noi è responsabile di muovere il cambiamento, l’immobilismo è paralizzante e nocivo per l’intero pianeta.

Dunque, non ci sono solo Greta Thunberg e il popolo dei FridaysForFuture a tenere alta l’attenzione sulla questione ambientale. Ma ci sono tantissimi altri rappresentanti anche fra i giovanissimi della Generazione Z ad avere ben presente quanto sia urgente immaginare già oggi come affrontare il tema dell’esaurimento delle risorse naturali, delle energie rinnovabili, dell’ecosostenibilità per mettere al sicuro la Terra il prima possibile. Lo dimostra un un sondaggio effettuato da Skuola.net in collaborazione con Sorgenia. Su 3.500 giovani tra i 10 e i 25 anni, infatti, quasi tutti (96%) sono spaventati per la salute del pianeta: la maggior parte (54%) non vede nell’immediato una soluzione, il 36% è invece preoccupato ma resta fiducioso, solo il 6% pensa che la situazione sia ancora sotto controllo. Ma la paura non ferma i giovani, che desiderano diffondere comportamenti virtuosi e di cura per il nostro pianeta. Proliferano progetti, idee, pagine social, documentari e serie tv che coinvolgono noi giovani. Speriamo che questa pagina, possa essere l’inizio di un nuovo spazio di dialogo, condivisione e (seppur piccolo) motore di cambiamento.

ATCG

Per capire come possiamo dare senso e speranza alla nostra esistenza di questo tempo, mi sono affidato alla mia formazione scientifica. Quelle quattro lettere sono infatti le iniziali delle componenti che costituiscono il DNA, la grossa molecola che è comune a tutto ciò che è vita. Queste quattro componenti, combinate in “parole” di lunghezza variabile, vengono replicate in maniera efficace, ogni volta con piccoli cambiamenti che rendono più o meno efficiente il processo. A parola diversa, vita diversa. Ma sempre basata sullo stesso alfabeto, così come l’italiano e l’inglese sono due lingue diverse composte dalle stesse lettere

E poi c’è l’entropia, altro concetto scientifico-filosofico, che definisce il tempo: qualsiasi cambiamento perde sempre una quantità di informazione, portando tutto l’universo, in maniera lenta ma costante verso il caos. Il passato ha sempre minore entropia del futuro, è quindi l’entropia che dà il verso al tempo.

Ebbene, tutti e due queste basi scientifiche che caratterizzano la vita (il DNA) e il contesto nel quale opera (l’Entropia universale) sono “statistiche”. Ossia, ciò che possiamo arrivare a comprendere non è la singola replica, o il singolo cambiamento, ma l’andamento globale delle repliche e dei cambiamenti. Nel singolo caso possiamo vedere “fallire” una replica”, o avere un cambiamento che fa acquisire informazione. Ma se ne prendiamo un numero sufficiente, ci saranno continue repliche e una globale perdita di informazioni. Il caso del singolo e la necessità del globale, direi, parafrasando l’opera di Jacques Monod.

Tutta questa lunga introduzione porta a ciò che vorrei condividere, circa il senso di noi esseri umani, e la speranza di portare avanti con consapevolezza la nostra esistenza.

Il valore della speranza

La speranza, essendo un concetto legato al futuro e non al presente, è esclusività dell’essere umano, così come l’essere coscienti. È legata al concetto di tempo, e questo la rende non sperimentabile da tutti quegli esseri viventi che hanno esperienza solo del presente. Solo noi esseri umani, per ciò che ne sappiamo, abbiamo coscienza dell’entropia, del verso del tempo.

Se esiste (ricordiamo l’efficacia della replica) deve esserci un motivo di vantaggio evolutivo. Forse un salvagente per la disperazione del nostro essere “finiti” e non eterni.

Quindi, quando la coscienza ti dice che le cose andranno male in futuro, chi ha più speranza tende a sopravvivere. Ma un’altra domanda si genera da questa considerazione: la speranza è utile in gruppi più numerosi di quelli semplici (cento, forse centocinquanta esseri ognuno cosciente del ruolo degli altri all’interno della comunità) in cui l’homo sapiens si è evoluto? Ha senso avere speranza quando si è parte di un meccanismo enorme che non si riesce a comprendere e del quale ci si può sentire vittime senza possibilità di cambiare nulla? 

Non mi riferisco al Covid, ma più semplicemente al fatto che  una comunità di più di un centinaio di persone genera meccanismi che non possono essere gestiti da tutti, e che anzi passano sulla testa di molti.

Certo, possiamo presupporre che ci siano cose non governabili dall’uomo – che deve quindi ragionare solo su base individuale – e che diventano alla fine la base per una religione con i suoi uomini eletti, e le sue leggi imposte dall’esterno. 

Ma per come la vedo io, emergenze sociali come il Covid ci insegnano che è solo come “comunità” che ne potremo uscire. E che alla fine, ciò che ne uscirà rafforzata è proprio la comunità. E l’unica maniera che abbiamo per crescere come singoli è proprio quello di essere parte di un insieme più grande. Se quindi il singolo deve essere cosciente che esistono cose “più grandi di lui”, siano esse sociali o economiche, è come Comunità che la speranza diventa qualcosa di non astratto. Insomma, “United we stand, Divided we fall“, frase che da Esopo in poi rimane sempre attuale. Pensare a noi stessi come parte di un superorganismo comunitario che solo se prospera può proteggerci e renderci consapevoli è forse la soluzione. Così come la vita pluricellulare è più efficace di quella unicellulare, la vita multicosciente è più efficace della singola coscienza. Proviamoci, abbiamo tutto da guadagnare.

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