Tag: malattia

Cerchi sull’acqua sempre più ampi

“Imparate che la vostra disponibilità ad essere presenti al dolore è la levatrice della compassione”.

Christina Feldman


Per me non è stato facile ascoltare “le grida del mondo”. Verso la compassione per diverso tempo ho nutrito un sentimento ambivalente. Mi sembrava che la capacità di patire-con portasse con se il rischio di aderire a un modello astratto e irraggiungibile. Ciò alimentava involontariamente tensione e sofferenza, anche se intuivo la forza trasformatrice di un’aspirazione così radicale.


Tale ambivalenza mi bloccava. Ogni qualvolta che in contesti di pratica la compassione veniva condivisa e proposta, per evitare una partecipazione meccanica e insincera, rimanevo sullo sfondo. Nel tempo ho capito che la compassione è un processo e che la comprensione si alimenta con la pratica che è la vita stessa, gradualmente accolta.


Quindi, in una fase iniziale, rimaneva della compassione una comprensione intellettuale. Questa si nutriva di concetti interessanti e in fondo rassicuranti. Il rischio però era di produrre qualcosa di solido, una sorta di nuova identità del meditante, lasciando intatte convinzioni e visioni del mondo con cui ero fortemente identificato.


Aprirsi, ammorbidirsi, riconoscere, offrire ospitalità, incarnare la tenerezza che ne consegue, si accompagnano al coraggio. C’è voluto il coraggio, ovvero “avere cuore”, per abitare il gesto semplice e delicato di avvicinarmi gentilmente a un luogo sofferente da ascoltare. Conosciuto da tanto tempo questo luogo vuole empatia, anela a essere riconosciuto, finalmente visto. Eppure delle volte senza di esso è come sentirsi nudi e impauriti.


Quindi ero in un momento delicato, sospeso in un passaggio dove la compassione non riusciva ad entrare in circolo nel corpo e rimaneva nella testa. Vivevo un implicito dualismo che si manifestava in una rigidità e un controllo che, pur rispondenti ad un bisogno di sicurezza, inaridivano lo slancio e il fuoco della motivazione. Mi rendevo conto anche che l’idealizzazione della compassione non aiutava.


Poi accadde qualcosa di radicale e ordinario allo stesso tempo. Nonostante avessi avuto occasione di sperimentare la sofferenza, evento naturale della vita, nelle sue molteplici manifestazioni, stavo per immergermi pienamente in un’esperienza inedita.

Un mio caro cugino cui ero legato e con cui ero cresciuto insieme si ammalò gravemente. Prima con prudenza poi con sempre maggiore convinzione iniziai a accompagnarlo, intuendo da subito, nonostante intorno amici e parenti tendessero a sminuire, che probabilmente non gliela avrebbe fatta. Infatti dopo circa tre anni dalla diagnosi morì e io, soprattutto nell’ultimo periodo di vita, fui sempre più presente e assiduo.


L’importanza di una carezza, di un piatto caldo condiviso, lo stare accanto mentre dormiva, senza fare nulla continuando a vedere un film mano nella mano e poi spegnere la luce uscendo e lui che aprendo un occhio ringrazia. Vederlo poi disgregarsi lentamente e inesorabilmente e sentire fino al midollo il comune destino esistenziale di esseri fragili e transitori, dotati di una luce interiore in alcuni momenti abbagliante, che si trasmette con un sorriso o un cenno di assenso e complicità davanti al gelato preferito.


Ecco, qui la compassione è potente, umile, sostiene e spazza via reticenze e ambivalenze. Sei solo, in presenza, e insieme all’altro nel dolore. Un cuore che abbraccia ogni cosa anche il dubbio di dover “fare” di più, l’impotenza di non poter fare altro, la parte arrabbiata che emerge gridando che non è giusto, la disperazione per la malattia che avanza inesorabile. Eppure si rimane fermi, sostando in un’energia che non immaginavi di avere, una forza silenziosa messa al servizio dell’altro che non ha bisogno di parole, e rende ogni momento qualcosa di prezioso e importante.


La stessa energia che mi ha portato, un’anno dopo la morte di mio cugino, in Hospice e a domicilio per accompagnare altri esseri umani in fase avanzata della malattia. Ritrovare gli sguardi di tante persone e situazioni, famiglie fortissime unite, solitudine estrema, intensi perdoni, sofferenze inimmaginabili. Giovani, anziani, figli, popoli tradizioni e culture, ognuno con una propria storia fatta di bellezza, dolore, ferite e gioie, insomma di tanta, tanta vita e morte intrecciate indissolubilmente.


E’ qui che la compassione è tracimata nella mia vita e ha segnato un passaggio indelebile, uno sguardo diverso sul mondo, e la consapevolezza di aver ricevuto un dono prezioso dall’inestimabile valore. Il dono di coloro che in questi anni mi hanno permesso di condividere un momento così delicato e uno spazio così intimo. L’importanza e l’unicità di ogni istante, l’impermanenza che è il fondamento di ogni condizione, la grazia che può abitare ogni gesto e situazione. E, anche la scoperta di uno spazio interno delicato in cui poter dire a ogni cosa che ci può stare, così come si presenta.

L’esistenza infine acquista un significato più profondo che offre direzione e senso alle giornate. Dagli affetti più vicini, ai tanti sconosciuti che ti passano accanto, agli animali, al mondo vegetale, ogni incontro ha colori, sapori e suoni diversi, inaspettati e ricchi di possibilità. Si è meno contratti, meno reattivi, più connessi. E si scopre che incontrare la sofferenza, diventare intimi con essa, comprenderla è la via non facile per una vita autentica.

Nel tempo ciò facilita una maggiore disponibilità ad accogliere il proprio dolore e quello altrui. Come lanciare un sasso in acqua, osservare i cerchi sempre più ampi che si disegnano sulla superfice includendo ogni cosa, mentre lentamente quel sasso, la compassione, si deposita sul fondo diventando parte del tutto.

Iscriviti alla newsletter

Iscrivendoti alla nostra newsletter potrai ricevere settimanalmente una mail riepilogativa per rimanere aggiornato sulle nostre attività, corsi e articoli del blog.

Se tremi sull'orlo.
Un'idea di Ida Costa e Marco Iannelli.

2021. Tutti i diritti riservati.

Sito web realizzato da: