Tag: Apprendimento

Formazione consapevole

La formazione è un concetto moderno ed è strettamente connessa alla produttività del lavoro. Ciò nonostante, è sempre più evidente che i contenuti e le tecniche della formazione sembrano perdere di efficacia di fronte ai cambiamenti che hanno travolto le imprese. Le aziende hanno sempre più bisogno di lavori che richiedono capacità complesse che si vogliono attuate da tutti, in quanto il puro lavoro esecutivo non ha più senso e valore (se mai l’avesse avuto), anche per il sempre maggiore utilizzo che si avrà della robotizzazione e dallo sviluppo dell’AI.

Bisognerebbe quindi, riscoprire le emozioni sia in ambito personale sia organizzativo; come queste facilitino o ostacolino l’apprendimento; come motivazione, comportamento, competenze, emozioni e valori siano tra loro connessi ed interdipendenti. Il processo formativo dovrebbe perciò partire dalla scuola per potersi sviluppare nelle aziende, per far in modo che diventi realisticamente possibile come crescita individuale, organizzativa e collettiva, perché nulla nella storia dell’Homo Sapiens è frutto individuale ma di gruppo. Certamente questo era più concretamente visibile in una tribù di cento persone che in un mondo globalizzato, soprattutto se continuiamo ad agire con l’istinto e i sentimenti dell’uomo della pietra vivendo invece nell’era del silicio.

Siamo in piena crisi economica, politica e sociale e dato che il cambiamento è sempre più rapido, il nostro senso di smarrimento deriva dal fatto che, se apprendimento e innovazione sono due necessità irrinunciabili sono anche più difficili da attuare, perché le conoscenze/competenze da acquisire sono sempre di più e le possibilità di lavorare sempre di meno. Ecco che, in questo contesto, l’apprendimento come competenza e la conoscenza come risorsa diventano fattori chiave per l’accesso e la partecipazione a molteplici dimensioni della vita sociale, culturale e politica, e non solo per la competitività economica, come vorrebbero le aziende del mondo globalizzato. Soprattutto, in questa complessità, è importante prendere coscienza che ciò che oggi conta maggiormente è l’organizzazione dell’informazione e la diffusione delle conoscenze. Questa consapevolezza dovrebbe essere fatta propria, senza eccezioni, considerando che l’evoluzione continua delle innovazioni, richiede una capacità di apprendimento permanente di tutti i cittadini del mondo globalizzato. L’incertezza è il carattere principale del nostro stare dentro questa complessità. Tutto ciò è ancora più vero in questo momento di crisi economica che con la pandemia in atto ha investito tutto il mondo. Per vivere nell’incerto e nell’incoerenza della realtà, è utile vivere una relazione dualistica, che consenta di comprendere l’ambiente in cui si opera in modo non comune accogliendo paradossi e ambiguità. Bisognerebbe saper esercitare un pensiero plastico, multicanale, capace di elaborare informazioni e percorsi cognitivi attraverso differenti mezzi ed espressioni. Dato che ormai la nostra vita lavorativa e organizzativa ha sempre meno legami con la nostra esperienza passata, con colleghi, con ruoli, con posizioni e con processi in continuo cambiamento, veniamo travolti spersonalizzati, siamo indotti a pensare solo al nostro orticello.

È facile sostenere che la formazione in questo contesto diventa strategica perché ciò che occorre sapere è via via sempre più importante di ciò che già si sa. Nel mondo del cambiamento, della complessità e dell’incertezza, nessuna formazione può essere davvero efficace e duratura se non diventa strumento di autoformazione, di perenne crescita e sviluppo. Ma nella realtà, si continua a fare solo formazione “apparente”, solo creazione del consenso sociale dalle aule della scuola ai vari piani d’impresa. La formazione diventa sempre più “evento” e sempre meno apprendimento, sempre più consenso e sempre meno competenza, sempre meno “occasione per pensare” e sempre più spettacolo e intrattenimento, al massimo semplicemente “erogazione” di contenuti magari attraverso la multimedialità.

C’è la necessità di acquisire consapevolezza che la crisi che stiamo vivendo non è economico/finanziaria o politico/sociale, ma soprattutto antropologica. Dobbiamo allora abbandonare l’io sfidante propostoci fin dall’infanzia dalla cultura dominante e ricercare un noi ampiamente condiviso. Probabilmente potremmo tutti uscirne fuori ripensando al modo di essere professionisti di formazione: dagli insegnati di scuola e dell’università, a quelli aziendali o ai consulenti che siano, alla luce di un’etica. O forse solo alla luce dell’autenticità per ricercare una formazione umana: insegnare a comprendere gli altri, a comprendere sé stessi, insegnare ad affrontare l’incertezza. 

Gianfranco Personé (1952) è stato formatore aziendale in alcune realtà bancarie, attualmente dedito alla lettura e all’equitazione di campagna.

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